La sentenza dell’Alta corte della Galizia sul caso As Conchas
L’11 luglio 2025 il Tribunal Superior de Xustiza de Galicia (TSXG) ha emesso una sentenza storica che condanna la Xunta de Galicia (il governo regionale) e la Confederación Hidrográfica Miño-Sil (ente statale di gestione delle acque) per la grave contaminazione dell’invaso di As Conchas, in Galizia.
L’inquinamento, dovuto allo sversamento incontrollato di liquami zootecnici da centinaia di allevamenti intensivi (oltre 300 “macrogranjas” di suini e pollame) nella comarca di A Limia, ha trasformato l’acqua del bacino in una “cloaca” tossica: proliferazione di cianobatteri (97 milioni per litro d’acqua) alghe verdi-azzurre e nitrati ben oltre i limiti di legge (fino a 1000 volte sopra la norma secondo le perizie). I residenti da oltre un decennio subiscono la mancanza di acqua potabile, esalazioni fetide e rischi sanitari gravi (è stata dimostrata una maggiore incidenza di malattie anche tumorali legate ai nitrati), al punto che la vita nel paese è divenuta quasi invivibile. Nonostante le ripetute denunce e prove scientifiche, le autorità fino ad oggi erano rimaste inerti, permettendo anzi l’ulteriore espansione degli allevamenti intensivi nella zona senza adeguati controlli. In questo contesto, alcuni cittadini (sette abitanti di As Conchas, sostenuti dalla locale associazione di vicinato, dalla Federazione Consumatori CECU e dalle ONG ambientaliste ClientEarth e Amigas de la Tierra) hanno fatto causa alle amministrazioni competenti, ottenendo ora giustizia.
Il TSXG ha riconosciuto che l’inazione delle autorità ha violato i diritti fondamentali dei residenti tutelati a livello costituzionale. In particolare, la sentenza dichiara la violazione del diritto alla vita (art. 15 Cost. spagnola) – inteso anche come diritto all’integrità fisica e morale – in connessione con il diritto alla vita privata e familiare e all’inviolabilità del domicilio, nonché la violazione del diritto di proprietà degli abitanti, in quanto tutti tali diritti risultano lesi dall’impossibilità di godere di acqua pulita e di un ambiente sano. La Corte ha infatti collegato questi diritti fondamentali con il diritto (riconosciuto dall’art. 45 della Costituzione spagnola) di ogni persona a “godere di un ambiente salubre e adeguato alle proprie esigenze”. Si tratta di un approccio innovativo e pionieristico: il grave degrado ambientale non viene più visto solo come una violazione di norme ecologiche, ma come un’offesa diretta a diritti umani basilari dei cittadini. I giudici galiziani sottolineano che la possibilità di vivere in un ambiente non inquinato è presupposto essenziale per la tutela effettiva della vita, della salute, della sfera privata e dei beni delle persone. Questa pronuncia è stata già salutata come una “sentenza storica” e un precedente a livello europeo, perché affronta la gestione scorretta degli allevamenti industriali dal punto di vista dei diritti umani fondamentali e non solo delle violazioni amministrative.
Conseguenze: diritto umano all’acqua e risarcimenti
Nel dispositivo, il TSXG ha ordinato alle amministrazioni di agire immediatamente per porre fine all’inquinamento e ripristinare condizioni ambientali accettabili nell’invaso di As Conchas e dintorni. In particolare, Xunta e Confederazione dovranno adottare “tutte le misure necessarie affinché cessino i cattivi odori e il degrado ambientale” e garantire alla popolazione locale l’erogazione di acqua potabile pulita e sicura, priva di agenti contaminanti pericolosi. L’obiettivo dichiarato è restituire agli abitanti il pieno godimento dei loro diritti fondamentali violati, incluso il loro diritto umano all’acqua potabile. È estremamente significativo che la sentenza parli esplicitamente di “diritto umano all’acqua”: un’espressione che richiama il riconoscimento internazionale dell’accesso all’acqua pulita come diritto fondamentale dell’uomo. Le autorità dovranno quindi realizzare opere di bonifica e sistemi di depurazione, monitorare la qualità delle acque e assicurare rifornimenti idrici alternativi, se necessari, per tutelare la salute pubblica.
Oltre a ordinare interventi ambientali urgenti, la Corte ha disposto un risarcimento per danno morale a favore dei residenti coinvolti. Sette abitanti riceveranno un indennizzo di 1.000 euro al mese (per un massimo di 30.000 € ciascuno, e 6.000 € per una residente fuori zona) a partire dall’inizio della causa, fino a quando la grave situazione ambientale non sarà risolta. Il tribunale ha motivato tale risarcimento riconoscendo l’“innegabile pregiudizio morale” subito dalla comunità: per oltre 14 anni (dal 2011) i ricorrenti hanno vissuto in uno stato di angoscia e ansia, vedendo perdurare nel tempo i gravi rischi per la salute (acqua contaminata, odori insopportabili, timori per malattie) e l’impotenza di fronte all’inazione delle istituzioni. In altre parole, la violazione prolungata del diritto a un ambiente salubre ha generato sofferenze psicofisiche concrete nella popolazione: un danno che il diritto risarcitorio è chiamato a compensare almeno in parte.
Ambiente e diritti umani: dalla Convenzione di Aarhus alla Corte EDU
Questa sentenza conferma un principio chiave: la tutela dell’ambiente e la tutela dei diritti umani fondamentali sono strettamente interdipendenti. Non a caso, a livello internazionale e paneuropeo, da anni si afferma che un ambiente sano e vivibile è precondizione per il godimento effettivo di diritti come la vita, la salute, la vita privata e la proprietà. La Convenzione di Aarhus del 1998 – ratificata anche dall’Unione Europea e dall’Italia – esprime chiaramente tale legame: all’Articolo 1 proclama che “ogni persona, appartenente alle presenti e future generazioni, ha il diritto di vivere in un ambiente adeguato alla propria salute e benessere”, obbligando gli Stati a tutelare e migliorare l’ambiente. La Convenzione di Aarhus, oltre a riconoscere questo diritto sostanziale, ha introdotto tre “pilastri” di diritti procedurali in materia ambientale: il diritto di accesso alle informazioni ambientali, il diritto di partecipazione pubblica ai processi decisionali che incidono sull’ambiente e il diritto di accesso alla giustizia in questioni ambientali. Questi strumenti rafforzano la democrazia ambientale, permettendo ai cittadini di essere informati, di contribuire alle scelte (ad esempio nelle valutazioni di impatto ambientale) e di agire legalmente contro le violazioni ecologiche. Il caso di As Conchas ne è un esempio concreto: i cittadini, supportati da associazioni, hanno esercitato il loro diritto di accesso alla giustizia ambientale, colmando il vuoto lasciato dalle autorità inerti.
Anche la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) da tempo riconosce la correlazione tra degrado ambientale e violazione dei diritti umani. Pur non esistendo nella Convenzione EDU un diritto esplicito a un ambiente sano, la Corte di Strasburgo ha interpretato le tutele esistenti in modo evolutivo: ha affermato che un grave inquinamento può interferire con il diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU), e in casi estremi perfino con il diritto alla vita (art. 2). Già nel celebre caso López Ostra c. Spagna (1994), riguardante i miasmi tossici di un impianto di trattamento rifiuti, la Corte stabilì che emissioni nocive e odori pestilenziali che rendono la casa invivibile ledono il diritto alla vita privata e familiare garantito dall’art. 8. In quella sentenza pionieristica, Strasburgo osservò che «è evidente che gravi ingerenze nell’ambiente possono pregiudicare il benessere di una persona e privarla del godimento del proprio domicilio, incidendo sulla sua vita privata e familiare». Da allora, numerosi casi hanno consolidato questo orientamento: ad esempio Guerra e altri c. Italia (1998), relativo a una popolazione esposta alle esalazioni di una fabbrica chimica, in cui venne riconosciuta la violazione dell’art. 8 CEDU per mancata protezione ambientale e informativa da parte dello Stato. Più recentemente, in vicende come l’Ilva di Taranto (caso Cordella e altri c. Italia, 2019) o l’inquinamento industriale in Ucraina (Dubetska c. Ucraina, 2011), la Corte EDU ha continuato a riscontrare violazioni del diritto alla vita privata e al domicilio quando l’inquinamento atmosferico o idrico minaccia concretamente la salute e la qualità di vita dei cittadini.
Un aspetto cruciale emerso dalla giurisprudenza europea è che gli Stati hanno obblighi positivi di tutela: non basta che le autorità si astengano dall’inquinare, ma devono attivamente adottare misure ragionevoli per proteggere i cittadini dai danni ambientali, anche quando questi derivano da attività di privati. In altri termini, la mancata prevenzione o il mancato intervento contro un inquinamento noto possono rendere lo Stato responsabile per violazione dei diritti umani. La sentenza del TSXG si inserisce proprio in questo filone: ha accertato l’inerzia colpevole delle amministrazioni nel controllare e frenare l’inquinamento da allevamenti industriali, riconoscendo che tale omissione ha leso diritti fondamentali dei cittadini. Questa convergenza tra tribunale spagnolo e Corte EDU dimostra un principio di portata generale: la protezione dell’ambiente non è un lusso o un interesse astratto, ma un elemento costitutivo del benessere e dei diritti delle persone. D’altro canto, anche il Consiglio d’Europa – di cui la CEDU fa parte – ha più volte auspicato di rafforzare il riconoscimento giuridico del diritto a un ambiente sano, considerandolo un diritto fondamentale emergente per ogni individuo e per le società nel loro complesso.
Il quadro italiano: diritto all’acqua e tutela ambientale
Anche in Italia l’importanza dell’acqua e dell’ambiente è sancita a livello normativo, sebbene in forme diverse. La Costituzione italiana, nella sua formulazione originaria, non menzionava espressamente il diritto all’acqua né un diritto all’ambiente; tuttavia, principi generali come il diritto alla salute (art. 32 Cost.), il diritto alla vita e alla dignità umana (art. 2 Cost.) e il dovere della Repubblica di tutelare il paesaggio (art. 9 Cost.) hanno fornito base per tutelare indirettamente questi beni. Negli ultimi anni si è assistito a una svolta: con la Legge Costituzionale 11 febbraio 2022 n.1, l’Italia ha modificato gli articoli 9 e 41 della Costituzione per inserire esplicitamente la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni tra i principi fondamentali. Oggi l’Articolo 9 Cost. recita che la Repubblica “tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”, sancendo quindi a livello costituzionale la protezione dell’ambiente come valore primario. Questo aggiornamento costituzionale – in linea con tendenze internazionali – riconosce l’ambiente come bene pubblico essenziale e condiziona anche l’iniziativa economica privata (art. 41 Cost. ora vieta attività economiche in contrasto con la salute e l’ambiente).
Per quanto riguarda il diritto all’acqua, la Costituzione italiana non lo enuncia esplicitamente come diritto soggettivo autonomo. Ciononostante, il nostro ordinamento lo riconosce nei fatti come diritto umano fondamentale e come bene comune pubblico. Già l’art. 144 del Codice dell’Ambiente (D.Lgs. 152/2006, che ha recepito la precedente “Legge Galli” n.36/1994) stabilisce un principio cardine: tutte le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche e non mercificabili, e vanno tutelate e utilizzate secondo criteri di solidarietà, salvaguardando le esigenze delle generazioni future. Ciò significa che l’acqua non può essere proprietà esclusiva di privati né essere gestita unicamente con logiche di profitto, essendo una risorsa vitale che appartiene alla collettività. Nel 2011 questo concetto è stato ribadito anche per via referendaria: con una larga maggioranza, gli italiani votarono per mantenere pubblica la gestione del servizio idrico integrato, opponendosi a ipotesi di privatizzazione spinta. A livello legislativo, sono state avanzate proposte per rafforzare la garanzia del diritto all’acqua potabile: ad esempio, disegni di legge che definiscono “l’acqua un bene naturale e un diritto umano universale” e che mirano ad assicurare a tutti i cittadini un quantitativo minimo vitale di acqua, a costi accessibili. Inoltre, l’Italia ha sostenuto le iniziative delle Nazioni Unite sul tema: nel luglio 2010 l’Assemblea Generale dell’ONU ha approvato una storica Risoluzione (64/292) che riconosce l’accesso ad acqua potabile sicura e servizi igienici come diritto umano essenziale per la vita e per tutti i diritti umani.
Sul versante della tutela ambientale, l’Italia dispone di un articolato quadro normativo: il già citato Codice dell’Ambiente (D.Lgs. 152/2006) raccoglie le norme su acque, rifiuti, aria, tutela del suolo e risanamento dei siti contaminati, in attuazione delle direttive europee. Esistono inoltre leggi speciali a protezione di particolari risorse (es. corsi d’acqua, parchi, aree marine) e l’adesione a convenzioni internazionali come la stessa Convenzione di Aarhus e l’Accordo di Parigi sul clima. Dal punto di vista penale, il legislatore ha introdotto i delitti ambientali (Legge 68/2015) punendo ecoreati gravi come l’inquinamento ambientale e il disastro ambientale. Complessivamente, nel nostro ordinamento si va consolidando il principio che ambiente e beni comuni (come l’acqua) costituiscono interesse pubblico primario, da bilanciare sempre con eventuali interessi economici. Il recente inserimento della tutela ambientale in Costituzione e il riconoscimento internazionale del diritto all’acqua rafforzano la possibilità per i cittadini di esigere dalle istituzioni azioni efficaci per proteggere l’ambiente e la salute pubblica, anche adendo le vie legali in caso di inadempienza.
In conclusione, il caso di As Conchas in Galizia – pur sviluppatosi in Spagna – lancia un messaggio potente e valido anche per l’Italia: danneggiare l’ambiente significa violare diritti umani. Il diritto a vivere in un ambiente sano, a respirare aria pulita e a bere acqua potabile non è un’astrazione per giuristi, ma una componente fondamentale della qualità della vita di ognuno di noi. Le istituzioni hanno l’obbligo di prevenire e reprimere le contaminazioni ambientali, perché proteggere l’ambiente significa proteggere le persone e le comunità nei loro diritti più basilari. Sentenze come quella del TSXG galvanizzano la consapevolezza che gli strumenti giuridici esistono – a livello nazionale e internazionale – per difendere questi diritti: dalla Convenzione di Aarhus, che dà voce ai cittadini nelle questioni ecologiche, alla CEDU e alle Costituzioni nazionali, che sempre più integrano il valore dell’ambiente. Si tratta ora di dare piena attuazione a tali principi, affinché tragedie ambientali come quella di As Conchas non si ripetano e affinché ogni cittadino, in Galizia come in Italia, possa davvero godere del diritto umano all’acqua pulita e di un ambiente sano e protetto.