Oggi 13 Ottobre si celebra la Giornata internazionale per la Riduzione del Rischio dei Disastri (International Day for Disaster Risk Reduction), istituita dall’ONU nel 1989.
Nell’edizione 2019 (l’ultima disponibile) del rapporto periodico pubblicato dall’Ufficio specializzato delle Nazioni Unite, si evidenzia che sono i Paesi a minore reddito a sopportare il più alto costo di vite umane (circa il 70%) in occasione di calamità naturali ma anche la scia di conseguenze a lungo termine che queste producono (distruzione e devastazione, sfollati, perdita di suolo e così via).
Dall’altro lato, i Paesi più ricchi possono invece mettere in campo capacità di prevenzione e risposta rapida in caso di disastri naturali, alleviando più rapidamente le conseguenze sul tessuto economico e sociale.
Eventi estremi in crescita
Sono soprattutto gli eventi meteorologici estremi a dominare il panorama dei disastri del 21° secolo. In vent’anni (2000-2019), si sono verificati 7.348 gravi eventi catastrofici, che hanno coinvolto 4,2 miliardi di persone, causando 1,23 milioni di morti e danni economici pari a quasi 3.000 miliardi di dollari.
Gli eventi legati all’acqua (alluvioni, siccità) sono responsabili del 90% dei disastri più gravi dal 1990, mentre terremoti e tsunami hanno causato il 60% dei decessi.
Paragonando i due ventenni (1980-1999 e 2000-2019) sono raddoppiate le grandi inondazioni, così come sono cresciuti i grandi temporali, i due eventi climatici più diffusi. Ma crescono pure siccità, incendi e aumento delle temperature. Terremoti e tsunami sono stati gli eventi che, secondo l’ultimo rapporto, hanno ucciso più persone di qualsiasi altro pericolo naturale.
Le vittime totali tra gli animali sono invece al momento impossibili da stimare, non essendo calcolate dalle statistiche ufficiali. Gli animali inoltre sono raramente soccorsi e comunque vengono dopo gli esseri umani nella scala delle priorità dei soccorritori.
Negli ultimi 50 anni, i disastri registrati sono quintuplicati. Il cambiamento climatico è uno dei principali moltiplicatori, sia di quantità che di potenza, dei disastri ambientali, inclusi gli eventi meteorologici estremi. Si stima che il numero delle vittime dei disastri naturali potrebbe aumentare del 50% nel prossimo decennio.
Il miglioramento degli standard di vita, delle infrastrutture e dei sistemi di risposta nelle regioni a più basso reddito diventa quindi una priorità per salvare milioni di vite umane e animali nei prossimi decenni.
Le vittime non umane
Tra le vittime di questi disastri naturali ci sono soprattutto gli animali. Sono le vittime principali, anche se il loro numero è al momento impossibile da stimare, non essendo calcolate dalle statistiche ufficiali. Gli animali inoltre sono raramente soccorsi e comunque vengono dopo gli esseri umani nella scala delle priorità dei soccorritori.
Qualche indicazione dell’enormità del problema può arrivare da recenti avvenimenti in Paesi occidentali. In particolare, una stima conservativa indica in 3 miliardi i koala, canguri e altri animali rimasti arsi vivi sia negli incendi in Australia del 2019.
Questa estate migliaia di buoi, mucche, pecore, cavalli e altri animali da allevamento (ma anche cervi, volpi, cinghiali e altri animali selvatici) sono rimasti uccisi nei roghi che hanno arso la parte centro-settentrionale della Sardegna, anche se non ci sono ancora dati certi.
Ma sono tantissimi anche cani e gatti che restano intrappolati negli edifici durante alluvioni, terremoti e incendi. Sempre in Sardegna, sono tanti i cani e gatti rimasti uccisi perché impossibilitati dall’allontanarsi, essendo legati a catena o chiusi in gabbia.
Le associazioni animaliste si occupano da sempre di salvare migliaia di animali rimasti vittime di disastri naturali (terremoti, incendi, inondazioni). Negli ultimi anni, per merito di una maggiore sensibilità, è aumentato il numero di animali salvati dalle squadre di soccorso, addirittura sono state istituite in varie parti del mondo dei nuclei di intervento specializzati nel salvare gli animali con l’uso di cani addestrati per il salvataggio o persino di speciali droni equipaggiati con sensori termici.
Dal 2018 con l’entrata in vigore del “Codice della protezione civile“, tra le finalità e attività della Protezione Civile è stata aggiunta l’azione di soccorso e l’assistenza degli animali colpiti da calamità naturali.
L’Italia è uno dei paesi più fragili e sensibili alle catastrofi naturali. La maggior parte del nostro territorio ha infatti un elevato rischio sismico e vulcanico. Nei prossimi decenni, la penisola dovrà affrontare un crescente rischio idrogeologico e lunghi periodi di siccità con relativi incendi nelle regioni meridionali, eventi amplificati per gravità e cadenza a causa del cambiamento climatico.
L’ISPRA segnala che il 91% dei Comuni è a rischio idrogeologico e nelle aree considerate in dissesto idrogeologico vivono tre milioni di famiglie. Non solo: quasi il 4% degli edifici italiani si trova in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata e più del 9% in zone alluvionabili nello scenario medio.
Si stima che con un aumento delle temperature inferiore di 2 °C costerà circa lo 0,5% del PIL nazionale. Invece con un aumento di 4 °C le perdite di PIL pro capite potrebbero arrivare al 7-8% entro il 2100.
Per questo motivo è fondamentale investire in prevenzione, affinché il numero di vittime (anche animali) di questi disastri possa essere il più possibile ridotto.