Animali o res? Codice civile o codice del consumo? Oppure altro ancora?

Gli animali sono e restano per il nostro ordinamento giuridico delle cose, destinate alla realizzazione dell’interesse economico umano.

Questa sentenza ha espresso il principio di diritto per cui nelle diatribe tra acquirente e venditore relative ad accertate patologie dell’animale compravenduto che siano gravi, occulte e pregresse (laddove il primo abbia acquistato per ragioni estranee alla propria attività professionale o imprenditoriale) si andrà ad applicare non il codice civile bensì il codice del consumo (decreto legislativo 206/2005) destinato alle transazioni che hanno per oggetto appunto beni di consumo come un aspirapolvere, un pc, un’autovettura, una lavatrice.

L’idea consumeristica di potere chiedere la sostituzione o riparazione dell’animale d’affezione è forse risibile.

Che vi sia una unanime difficoltà a percepire l’animale come qualsiasi altro bene giuridico al pari di una lavatrice credo sia pacifico.

Ma quale è il rimedio previsto dal nostro ordinamento laddove l’animale acquistato dovesse presentare una patologia pregressa, occulta e grave?

Il rimedio è l’articolo 1496 del codice civile per il quale «Nella vendita di animali la garanzia per i vizi è regolata dalle leggi speciali o, in mancanza, dagli usi locali. Se neppure questi dispongono, si osservano le norme che precedono». Tradotto, non vi è alcun rimedio giuridico specifico se non il rinvio alle norme che si applicano — appunto — per la compravendita di beni. Non vi è infatti una legge speciale (e il codice del consumo non lo) e gli usi sono anacronistici (quando ci sono). Dunque si applicherebbe il codice civile laddove ai sensi dell’art. 1492 «il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo se la cosa compravenduta presenta vizi che la rendano inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore».

Ma l’applicazione del codice civile è meno discutibile dell’applicazione del codice del consumo tenuto conto del particolare bene compravenduto?

Il problema, di non poco conto, è che gli animali, che pure sono unanimemente riconosciuti quali esseri senzienti, sono e restano per il nostro ordinamento giuridico delle res, delle cose, destinate di fatto e in modo prevalente alla realizzazione dell’interesse economico umano.

Questo principio, antropocentrico, già radicato all’interno del codice civile (quello del ’42 ma anche quello del 1865, all’art 417 laddove sono considerati mobili per loro natura i corpi che possono trasportarsi da un luogo ad un altro o si muovono per propria forza come gli animali), viene ribadito espressamente dalla Cassazione con questa sentenza: si legge infatti che l’animale, per quanto sia un essere senziente, non può essere soggetto di diritti per la semplice ragione che è privo della c.d. “capacità giuridica” (che si definisce, appunto, come la capacità di essere soggetti di diritti e di obblighi); capacità che l’ordinamento riserva alle persone fisiche e a quelle giuridiche.

L’animale è dunque (anzi rimane) solo il beneficiario della tutela apprestata dal diritto e non il titolare di un diritto alla tutela giuridica. Occorre allora domandarsi se questa visione antropocentrica che permea il nostro ordinamento (e lo permea delle sue origini e dunque dal diritto romano) sia destinata ad evaporare oppure no.

Rapportarsi alle altre nazioni serve a poco. Rendersi conto che vi è un conflitto di norme (tra quelle interne e quelle sovranazionali e tra quelle nazionali e quelle regionali) aumenta l’imbarazzo per un legislatore che pare davvero sordo al mutare dei tempi e alle scoperte che giungono dal mondo della scienza).

Invero personalmente non credo si tratti di un legislatore sordo poiché dotato di un apparato uditivo assolutamente integro. Si rivendica la senzienza in capo agli animali dimenticando forse che una applicazione “integralista” della soggettività giuridica in capo agli stessi comporterebbe o presupporrebbe una rivoluzione culturale della quale non vedo alcun prodromo.

E il giurista a questo punto deve fermarsi limitandosi a individuare e segnalare i falsi positivi della soggettività umana che potrebbero nascondersi finanche in quelle operazioni di restyling del codice civile e della Costituzione che in ogni caso chi scrive ritiene quantomeno opportune.

Non sono inadeguate le regole (codice civile o codice del consumo) o le tutele che anzi vi sono sia pure finalizzate solo a limitare la sofferenza degli animali. E’ anacronistico il principio per il quale gli animali siano (ancora) considerati res e se non fossero considerati tali probabilmente non vi sarebbe la necessità di discutere sul vizio dell’animale compravenduto.

Ma solo pensarlo ad alcuni fa paura.

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